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QUAND'ERO LEOPARDO. Una storia di coraggio e di paura

Medito tutti i giorni. Da molti anni. Ma non avevo mai avuto una visione come quella di ieri.

Di solito, medito seduto con gli occhi chiusi e le gambe incrociate su un tappeto, in un angolo raccolto della casa. È un piccolo spazio che riservo per me, dedicato solo a questa pratica. Medito con il profumo dolce d’incenso e una musica serena. E dopo qualche minuto, la mia mente si trasforma: scompaiono i pensieri, spariscono gli affanni, svanisce la percezione del corpo… A volte appaiono colori, persone, un fiume, il sole, alberi… a volte solo silenzio e un vuoto avvolgente.

Ieri invece è accaduto tutt’altro: mi sono seduto in poltrona solo per rilassarmi qualche minuto, ho chiuso gli occhi e spontaneamente il mio respiro si è fatto profondo; poi ho sentito un profumo pungente, una forte sensazione di paura e… sono precipitato dentro un altro corpo! Non so dire perché, ma ho capito subito che era il corpo di un leopardo. Ne sentivo la natura possente: i miei muscoli aderivano alle ossa con forza, pronti a scattare. E i nervi li attraversavano con sapienza, colmi di ancestrali impulsi selvaggi. Il sangue correva impetuoso nelle vene, forse cosciente del suo ruolo di nutrice. E sulla pelle, il pelo maculato si alzava a ogni carezza del vento.

Ero su un albero. Il mio albero. Sdraiato su un grosso ramo, con le gambe penzolanti, come ho visto nelle fotografie dei leopardi. L’odore pungente della mia ultima preda, un’impala dalle corna ricurve, mi entrava nelle narici per arrivare fino al cuore. La guardai, senza vita accanto a me: il pennello del Destino, intinto nelle ferite che i miei denti avevano scolpito nella sua carne, dipingeva di rosso il suo collo. Insieme alle mie zampe e al mio muso. Mi sentivo sazio e tranquillo. E con mia grande sorpresa, pensieroso. Osservai l’orizzonte, dove il giallo rovente della savana abbraccia l’azzurro fresco del cielo. E salutai il sole, pronto a cedere il passo alla notte.

Cercavo ispirazione, per dare risposte alle domande che braccavano la mia mente:

“Per quanto tempo ancora avrò la forza di cacciare?”

“E chi sarà il mio carnefice? Un leone? Un coccodrillo? O forse le iene?”

“E cosa proverò quando i miei muscoli verranno dilaniati da unghie affilate e denti taglienti?”

“Avrò paura come questo impala?”

“O rivivrò il terrore che provai quando vidi mia madre sbranata dalle leonesse?”

Le risposte non arrivarono. Ma lentamente, al loro posto si presentarono le stelle. E poi la Luna, così piena e lucente da sembrare il ventre di una donna gravida. Il ventre di una donna bianca. Come quella che vidi una volta su una jeep, mentre fotografava un branco di leoni addormentati. Aveva una pelle così chiara e delicata, che desiderai affondare le mie zanne fin dentro il suo cuore. Non avevo mai provato sensazioni così ambigue: ero affamato di quella preda e al tempo stesso ne ero innamorato. Anzi, innamorata, perché il mio corpo è quello di un leopardo femmina.

E subito le domande lasciarono spazio al ricordo dei cuccioli che avevo messo al mondo. Ricordavo tutto di loro: l’odore dolce delle prime settimane, i movimenti impacciati dei primi mesi, gli agguati mancati dei primi anni… e la malefica risata delle iene che riuscirono a catturarne due. E li sbranarono sotto i miei occhi, mentre vegliavo in cima all’albero, proteggendo gli altri fratelli e sorelle della cucciolata. Che per fortuna non subì altre perdite. Così i miei giovani leopardi si fecero grandi, maschi e femmine, e se ne andarono, in cerca di altro territorio, altre prede e altri compagni con cui procreare.

E ora eccomi là, sul mio albero, immersa nei rumori della notte. Sola, pensierosa e colma

di cicatrici: una per ogni caccia difficile, una per ogni duello per la conquista del territorio,

una per ogni lotta in difesa dei miei figli. Quanto coraggio mi ha donato la vita! E quanta paura mi ha chiesto in cambio! Soprattutto in queste ore, in cui i predatori che cacciano in branco col favore del buio, chiedono al vento di non rivelare alle prede i loro appostamenti.

E le prede pregano che il vento porti l’odore dei nemici, in tempo per scappare.

Io dall’alto, grazie alla piena della Luna che inonda il mondo di luce, vedo prede e predatori.

E veglio su di loro. E sorveglio che nessuno mi aggredisca. È la paura che mi ispira. E mi protegge. Mentre il coraggio mi sostiene. E mi guida. Ora la paura mi racconta che un pericolo è in agguato ed è vicino. Molto vicino. Il coraggio guida i miei passi sul ramo, muti

e attenti, per guardarmi intorno. Nel lato dove tramonta il sole, un branco di iene, in lontananza tiene in scacco un vecchio leone, che ancora ruggisce, forse di paura, forse di coraggio. Nel lato dove il sole sorge, due leonesse stanno sbranando un giovane gnu, nel più assoluto silenzio. Nel lato del fiume, un coccodrillo attacca una zebra e la trascina sott’acqua. Scompaiono insieme in un gran turbinare di schizzi e zampe mulinanti. Dunque per me, nessun pericolo in vista. Eppure io lo sento, ancora più vicino. E l’esperienza mi insegna

che il nemico mortale è sempre quello che non si vede. Ho sempre avuto paura del nemico invisibile. Per questo sono ancora viva. Merito anche del coraggio, che mi ha permesso di combattere e vincere, quando il nemico si è rivelato.

Eppure stanotte, la paura cresce, ma il nemico ancora non si vede. Guardo l’impala, la mia ultima preda e penso che non ha più paura. E non ha più coraggio. La sua carne è nutrimento puro, vuota di emozioni, come accade durante la meditazione degli umani. E anche di noi animali, che spesso sembriamo addormentati, ma spesso siamo in meditazione. Perché il sonno ricarica il corpo e la meditazione rigenera la mente. E noi abbiamo bisogno di entrambe. Chi pensa che viviamo di puro istinto ci sottovaluta, perché non ci ha mai osservati davvero. Non ci ha mai amati. E non sa che siamo capaci di strategia e di tattica, di progettare e di improvvisare e nella caccia facciamo tesoro della statistica. E la statistica mi dice che ora il rischio di vita per me è molto alto, perché ho paura come non ne ho mai avuta. E ancora non vedo alcun pericolo. Ma ecco che il coraggio mi viene in soccorso e mi parla, suadente, rassicurante: forse devo solo rilassarmi e non pensarci più, sarà un falso allarme, un momento di sensibilità eccessiva… forse sto solo diventando vecchia.

Ma il coraggio si sbagliava. Sentii un morso pungente sul collo, era un morso piccolo ma aguzzo e un calore dolciastro mi avvolse la testa. Cercai di muovermi, di girarmi indietro, perché il pericolo mi aveva assalito alle spalle, dall’alto. Ma non ci riuscii: le mie zampe erano diventate rigide e il corpo contratto. Poi il respiro si fece corto, molto corto, troppo corto. Il cuore cominciò a galoppare, cercava di uscire dal petto per prendere aria. Ma invano, perché il mio sangue diventò denso, la lingua si accartocciò in gola e smisi di sentire il ruggito del vecchio leone attaccato dalle iene. Fu in quel momento che il pericolo passò davanti ai miei occhi: era un serpente, così spaventato all’idea di morire di fame, da avere il coraggio di attaccare un leopardo. E così stupido da non considerare che ero una preda troppo grande per lui. O forse no? Ma ormai le mie domande, le mie riflessioni, i mie pensieri non avevano più senso di esistere. Eppure, esistevano.

Quando il cuore del leopardo regalò al mondo il suo ultimo palpito, tornai dentro il mio corpo. Il corpo di un uomo, stupefatto per quella incredibile esperienza. Tastai le mia braccia, le gambe, il viso. Tutto era a posto. Vestiti inclusi. Magnifico! Mi alzai dalla poltrona e non mi domandai se fosse stato un sogno o la reminiscenza di una reincarnazione. O semplicemente la mia impetuosa fantasia da scrittore. Mi limitai a godere profondamente della vita ritrovata e ringraziai di cuore la paura, per tutte le volte che mi ha avvisato del pericolo. E ringraziai di cuore il coraggio per aver sempre guidato la mia anima verso la vita.

Quand’ero leopardo, ho capito perché le paure sono tante e il coraggio è uno solo.


QUAND'ERO LEOPARDO © storia di coraggio e di paura

Fulvio Fiori - Tutti i diritti riservati - Riproduzione vietata.

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